America Latina, aborto negato a 9 donne su 10

I Paesi dell’America Latina faticano a vivere l’aborto diversamente che da un tabù e restano infatti lontani dalla media mondiale dei tassi di accesso alla pratica di interruzione di gravidanza. Ma la cosa più grave è che in quei Paesi le donne muoiono di aborto.

Dopo mesi di battaglie e manifestazioni, il movimento argentino in favore della legalizzazione dell’aborto ha dovuto arrendersi. Il Senato di Buenos Aires, dopo una seduta fiume terminata a tarda notte, ha votato contro la legge che avrebbe permesso l’interruzione volontaria di gravidanza entro le prime 14 settimane. La vittoria del ‘no’ era ampiamente attesa. Il voto per la legalizzazione dell’aborto nella patria di Papa Francesco ha trovato la dura opposizione delle parti più conservatrici della società. La speranza dei movimenti per la libertà di scelta era che dopo il referendum in Irlanda, un altro paese tradizionalmente cattolico, si potesse aprire uno spiraglio anche in Argentina. In America Latina restano solo due gli Stati in cui l’aborto è totalmente legalizzato: si tratta di Uruguay e Cuba.

Anche in Brasile le potenti chiese cattoliche ed evangeliche si oppongono alla depenalizzazione, mentre chi appoggia la proposta ricorda che le donne ricorrono comunque all’aborto, con pericoli e costi sanitari pubblici, e che il divieto danneggia le fasce più povere di popolazione, che non hanno accesso a costose procedure illegali sicure e incorrono più spesso nelle sanzioni penali. Tra i medici che hanno testimoniato alla Corte suprema anche Maria de Fatima, del ministero della Salute, che ha ricordato come una donna su cinque in Brasile ha abortito, e che ogni anno 230 donne muoiono e altre 250mila sono ricoverate in ospedale per le complicazioni delle procedure ‘fai da tè’.

Nei Paesi dell’America Latina il 90% delle donne non ha libero accesso all’aborto: su 21 Paesi latinoamericani solo tre autorizzano l’interruzione volontaria di gravidanza senza alcuna condizione: Cuba, dal 1965, la Guyana 30 anni dopo e l’Uruguay dal 2012. Con un tasso di accesso all’aborto del 14,3% al livello subcontinentale, l’America Latina è ancora molto lontana dalla media mondiale del 40,5%. In società conservatrici spaccate da lotte politiche intestine e nelle quali la Chiesa è molto influente, l’argomento aborto rimane un tabù che infiamma ciclicamente i Paesi della regione, come nel caso dell’Argentina, dove ci sono stati scontri di piazza dopo la bocciatura in Senato della legge che avrebbe voluto legalizzare la pratica nelle prime 14 settimane. Attualmente l’aborto è consentito in Argentina solo nel caso di stupro o se la salute della madre è in pericolo: la proposta approvata a giugno, dopo una seduta maratona dalla ‘camera bassa’, legalizzava la pratica in tutte le circostanze nella prima fase della gravidanza. La bocciatura odierna non permette una nuova presentazione del testo fino all’anno prossimo. Il ricorso all’aborto è vietato per legge in Repubblica dominicana, Haiti, Nicaragua, Salvador, Honduras e Messico (tranne nel distretto federale di Mexico City, fino alla 12ma settimana) con pene severe per chi lo pratica. In tutti gli altri Paesi non è autorizzato salvo nei casi in cui è a rischio la vita e la salute stessa della madre, ma con procedure davvero complesse, per non dire impossibili, e spesso costose. Dopo alcune modifiche introdotte nella legislazione, sette Paesi – Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Equatore e Panama – tollerano la pratica quando a richiedere l’aborto sia una donna rimasta incinta dopo uno stupro. In tre di questi – Cile, Colombia e Panama – l’aborto è autorizzato anche in caso di anomalia grave del feto. Inoltre, in base a dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in America Latina l’aborto clandestino, praticato in condizioni igieniche precarie, è responsabile del 12% dei decessi materni.