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Angelina Merlin, la senatrice che chiuse i bordelli

Adelina Sejdini, 42enne di origini albanesi, vive da alcuni anni a Brindisi. Circa 18 anni fa, dopo essere stata sequestrata, violentata e venduta, è arrivata in Italia dove per alcuni anni è stata vittima del racket della prostituzione. Da quando ha deciso di ribellarsi, “salvata dalle forze dell’ordine che considero i miei angeli e la mia famiglia” dice raccontando la sua storia, si occupa di mediazione culturale ed è attivista di un’associazione impegnata nel recupero delle vittime della tratta e della prostituzione.

Ha manifestato dinanzi al Tribunale Penale di Bari contro la decisione presa nei giorni scorsi dalla Corte di Appello di inviare gli atti del processo escort (quello sulle donne portate dall’ imprenditore Gianpaolo Tarantini nelle residente dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi perché si prostituissero) alla Corte Costituzionale per valutare la legittimità di alcuni articoli della Legge Merlin. Adelina ha manifestato con una maglia su cui ha fatto stampare una foto di Falcone e Borsellino, si è dipinta sul volto i numeri delle vittime di tratta e una bandiera dell’Italia e ha preparato un cartellone con i suoi “no alla modifica della legge Merlin, alla legalizzazione delle case aperte e al racket della prostituzione”.

“Oggi in Italia ci sono più di 120 mila donne vittime della tratta, – dice Adelina – ed è inaccettabile che si renda legittimo il comportamento di chi ‘aiuta’ le prostitute nel loro lavoro. Chi indossa la toga per me rappresenta una speranza di legalità, ma ora sono senza parole”.

Sono passati sessanta anni dall’approvazione della legge numero 75 del 20 febbraio 1958, cioè la cosiddetta «legge Merlin» che chiudeva le «case chiuse», così dette perché le finestre si tenevano perennemente serrate, alle signorine era proibito persino di scostare le tende. Le signorine negli anni cinquanta scrissero una serie di lettere alla senatrice Merlin mentre era in corso la battaglia per far approvare la legge che poi abrogò quelle “case”. Lo scorso 20 febbraio sono trascorsi sessant’anni dall’approvazione di quella legge e in questo momento è sottoposta a giudizio di costituzionalità, richiesto dal tribunale di Bari su istanza dei difensori di Gianpaolo Tarantini (processo Ruby bis).

Per combattere il gravissimo problema della prostituzione per strada si devono riaprire le case fidando nell’autodeterminazione delle donne?

L’autodeterminazione delle donne, in questo caso, non esiste: si tratta in genere di povere disgraziate, arrivate chi sa da dove, ricattate e sfruttate da papponi senza scrupoli.

I casini d’un tempo, come documentano le lettere delle donne di sessant’anni fa erano lager e non sono un esempio da seguire.

La legge Merlin(1958)provocò la cancellazione di cinquecento bordelli e il licenziamento di 2.700 prostitute che ruotavano da un casino all’altro
La senatrice Lina Merlin, fu una delle ventuno donne che fecero parte della Costituente e prima donna eletta al Senato, si deve l’introduzione, nell’articolo 3 della nostra Carta, dell’espressione «senza distinzione di sesso»

Nel 1955, mentre la discussione, in parlamento e nel paese, era in corso, la Merlin raccolse in un volume edito dall’Avanti! e reso adesso scaricabile dalla Fondazione Anna Kuliscioff le lettere delle donne che, dalle case chiuse, le scrivevano implorandola di non abbandonare la battaglia.

Da queste lettere il mondo dei casini appare molto diverso da quella specie di salotto letterario, in cui, tra nuvole di cipria e profumo di giarrettiere, si faceva soprattutto conversazione, i casini, cioè, come ce li hanno tramandati intellettuali e giornalisti illustri, Montanelli, Gervaso e molti altri. Si trattava invece, molto semplicemente, di piccoli lager, con i tenutari e i loro addetti a fare da kapò.

L’idea di riaprire i bordelli riappare ogni tanto, chi la propone ha in mente sicuramente modelli assai diversi da quelli di allora. Tuttavia è bene ricordare qualcosa che abbiamo dimenticato, o che preferiamo non sapere, sul costume degli italiani da cui discendiamo, sulla società che di tanto in tanto rimpiangiamo, e anche sulla natura dei maschi, allora e oggi.


Sessant’anni fa
Giovedì 20 febbraio 1958. In Italia viene promulgata la legge n. 75/1958, «Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui», meglio nota come «legge Merlin», dal nome della sua promotrice, la senatrice socialista Angelina «Lina» Merlin (1887-1979). Il provvedimento stabilisce, tra l’altro, che «le case, i quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercita la prostituzione, […] dovranno essere chiusi entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge» (la chiusura scatterà poi il 20 settembre successivo). «Nel 1949 l’Onu aveva impegnato gli Stati membri a punire chi traeva guadagno dalla prostituzione altrui. E lo Stato italiano, entrato nelle Nazioni unite nel 1955, rischiava di finire sotto accusa. L’esigenza di evitare imbarazzanti problemi internazionali si sposò con spinte interne, che già da dieci anni puntavano ad abolire la prostituzione legalizzata. La Merlin, prima donna della storia italiana sui banchi del Senato, già nel 1948 aveva messo a punto il suo progetto di legge, che però si era arenato per l’opposizione dei partiti di destra e ampie resistenze trasversali nelle altre formazioni. Solo quando le direttive dell’Onu cominciarono a premere sull’acceleratore, la stragrande maggioranza del Parlamento diede il via libera. La votazione decisiva, svoltasi alla Camera, […] ebbe un risultato plebiscitario: 385 “sì” all’abolizione contro 115 “no”. Ufficialmente, per il “no” si erano espressi solo missini e monarchici. Ma nel Paese le resistenze e le perplessità andavano oltre i partiti di destra. Scontata era l’opposizione dei tenutari delle “case”, ispiratori di un’associazione (l’Apca) che fino all’ultimo si oppose fieramente alla riforma. Molto meno ovvio fu l’atteggiamento di opinon leader e personaggi della cultura, che si divisero su fronti opposti. A fianco di Lina Merlin fu per esempio Carla Voltolina, moglie del futuro presidente della Repubblica Pertini. Sul fronte opposto, oltre a Montanelli (che sul tema pubblicò un famoso libello, Addio, Wanda!), si schierò a sorpresa anche lo scrittore Dino Buzzati, che arrivò a paragonare la senatrice veneta a “Erostrato, che è leggenda abbia appiccato il fuoco alla grande Biblioteca di Alessandria, distruggendo un grande capitale”. Ma chi era la donna che aveva “bruciato la biblioteca”? Nata a Portonovo (Padova) ma cresciuta a Chioggia (Venezia), la futura senatrice aveva ricevuto in gioventù una rigida formazione cattolica e si era diplomata maestra in un istituto delle Canossiane. Poi, emigrata in Francia durante gli anni del fascismo, si era avvicinata a socialisti esuli (fra cui Matteotti), aveva militato come partigiana e dopo la guerra era stata eletta all’Assemblea costituente nelle file del Psi. In Senato era entrata nel 1948, diventando subito un simbolo. Va detto comunque che quel “simbolo” non aveva inventato nulla: infatti la sua legge era praticamente fotocopiata da un provvedimento analogo, varato in Francia nel 1946. […] Pochi anni dopo l’entrata in vigore della famosa legge, il Psi decise di escludere la “maestrina veneta” dalle liste dei candidati alle elezioni del 1963. Lei stracciò la tessera del partito, polemizzò aspramente sia con la destra che con la sinistra, attaccando indistintamente tutti, “fascisti rilegittimati, analfabeti politici e servitorelli dello stalinisimo”. Poi si ritirò a vita privata a Milano, dove scrisse le sue memorie, pubblicate postume. Morì a Padova nel 1979.