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Egitto: istituzione ‘fatwe’, mutilazione femminile vietata

In Egitto le mutilazioni genitali femminili sono proibite secondo la religione, e bandirle è un dovere religioso a causa dei loro effetti nocivi sul corpo. Lo ha ribadito un’ennesima volta una dichiarazione di ‘Dar el Iftaa’ (l’istituzione religiosa egiziana autorizzata ad emettere ‘fatwe’ ), secondo quanto pubblica il periodico Egypt Today. Secondo l’istituzione le mutilazioni femminili non sono menzionate nella legge islamica, ma sono praticate nella convinzione che si tratti di una norma sociale diffusa nelle aree rurali e nelle zone più povere dell’Egitto. Nell’Islam, si aggiunge nell’articolo, è un dovere proteggere il corpo femminile, ed in particolare nelle sue parti più sensibili, e le mutilazioni violano questo dovere. Quindi i genitori delle giovani donne che autorizzano ”quegli abominevoli interventi chirurgici” devono essere puniti. Ricerche dell’Unicef del 2014 indicavano che il 91 per cento delle donne tra 15 e 49 anni (più dell’80 per cento era di eta’ entro i 15 anni) subivano le mutilazioni. Gli sforzi del governo, riconosciuti dalle ricerche Onu, hanno confermato negli ultimi anni una riduzione del 13 % di quella percentuale nella fascia compresa tra 15 e 17 anni.

La mutilazione genitale femminile (MGF), è un rito ancestrale erroneamente legato a religioni, ha motivazioni molto incerte ma un storia solida che continua a mietere vittime. Secondo i più recenti calcoli, coinvolge almeno 200 milioni di ragazze e bambine in più di 30 Paesi di varie aree geografiche. Il continente in cui le mutilazioni sono più diffuse è senza dubbio l’Africa: circa 92 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni hanno subìto questa pratica mentre circa 3 milioni sono quelle che ogni anno si aggiungono al totale. In tre Paesi – Egitto, Etiopia e Indonesia – si concentrano la metà delle donne “tagliate”, mentre ve ne sono altri in cui la pratica interessa la quasi totalità della popolazione femminile: la triste classifica la guidano Somalia (98%), Guinea (97%) e Djibouti (93%).

L’usanza delle mutilazioni genitali femminili, nel suo complesso, è documentata e considerata un fenomeno diffuso in una trentina di Paesi africani. In Stati dell’Asia come India, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele esistono casi documentati ma mancano indagini attendibili, mentre in Yemen e in Indonesia, la pratica è molto estesa. Sporadici casi vengono segnalati anche in alcuni Paesi dell’America Latina. Per quanto riguarda il tipo di mutilazioni praticate sul corpo delle donne, la maggioranza è di tipo escissorio (taglio e/o rimozione di parti dell’apparato genitale). I restanti casi, invece, andrebbero classificati sotto il titolo di «infibulazione», il restringimento, cioè, dell’orifizio vaginale che non esclude la stessa escissione.