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Ferrante su Guardian, ‘difendo tutte le donne, anche le stronze’

“Persino oggi, dopo un secolo di femminismo, noi donne non possiamo essere pienamente noi stesse”. Lo scrive Elena Ferrante nella rubrica che da gennaio cura ogni fine settimana sul quotidiano britannico Guardian.

“Povere o ricche, famose o sconosciute, sposate o single, impiegate o disoccupate, con o senza figli, ribelli o obbedienti, siamo tutte profondamente segnate da un modo di stare al mondo che, anche quando rivendichiamo come nostro, è avvelenato alla radice da millenni di dominazione maschile”,

scrive la famosa scrittrice nel suo editoriale curato in inglese da Ann Goldstein, traduttrice di tutti i suoi romanzi. “Le donne vivono in perenne contraddizione e affrontano fatiche insostenibili. Tutto, davvero tutto, è stato codificato in base ai bisogni maschili: persino la nostra biancheria intima, le pratiche sessuali, la maternità”, prosegue la Ferrante sottolineando che se una donna “è troppo” bella, intelligente, indipendente, generosa, aggressiva gentile suscita “reazioni violente negli uomini e l’inimicizia di altre donne con le quali ogni giorno sono costrette a litigarsi le briciole lasciate dagli uomini”. “Per questo mi sento vicina a tutte le donne per una ragione o per l’altra e mi riconosco nella migliore e nella peggiore”, conclude la scrittrice.

“Certe volte la gente mi chiede: possibile che non conosci neanche una stronza? Ne conosco alcune, certo. La letteratura ne è piena, come ne è piena la vita reale. Ma, alla fine, sono dalla loro parte”.

Da 24 anni, da quando cioè ha pubblicato il suo primo libro, Elena Ferrante si cela dietro un nome studiato a tavolino in evidente omaggio a Elsa Morante. E da allora, con la complicità della sua casa editrice, più o meno controvoglia, l’autrice ha partecipato a questo gioco mediatico sfamando la curiosità di giornalisti, critici e lettori, prima con informazioni sporadiche e poi con un epistolario pubblicato su impulso dei suoi editori.

Non domandatemi chi sono… è una morale da stato civile. Regna sui nostri documenti. Ci lasci almeno liberi quando si tratta di scrivere”, affermò Michel Foucault quasi cinquant’anni fa. E per quasi un quarto di secolo anche l’autrice della tetralogia napoletana de L’amica geniale ha rigettato quella morale celandosi dietro allo pseudonimo di Elena Ferrante. Di lei, dunque, non sono mai state pubblicate foto. Né è mai stato stabilito chi sia veramente. Si sa solo che «è nata a Napoli». Allo stesso tempo Ferrante ha saputo parlare molto di sé, concedendo innumerevoli interviste mediate dalla casa editrice e scrivendo un volume sedicentemente autobiografico, La Frantumaglia, unica opera non fiction pubblicata da Ferrante nel 2003 e nella quale aveva avvertito i lettori. Non una, bensì due volte. «Io non odio affatto le bugie, nella vita le trovo salutari e vi ricorro quando capita per schermare la mia persona», aveva scritto. E, poco più avanti, aveva aggiunto: «Italo Calvino nel 1964 scriveva a una studiosa che chiedeva informazioni personali: “Mi chieda pure quel che vuol sapere e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità. Di questo può star sicura”. Questo passo mi è sempre piaciuto e almeno parzialmente l’ho fatto mio.

Con questa ammissione, per molti la Ferrante ha compromesso il suo diritto a scomparire dietro ai suoi testi e lasciare che essi vivessero e si diffondessero senza autore…