• Home
  • /
  • Donne
  • /
  • Le assaggiatrici di Hitler, un romanzo ispirato ad una storia vera

Le assaggiatrici di Hitler, un romanzo ispirato ad una storia vera

E’ ispirato alla storia vera di Margot Wölk, che a 96 anni aveva raccontato di essere stata assaggiatrice di Hitler nella caserma di Karusendorf. Nel suo nuovo romanzo, la scrittrice di origini calabresi, Rossella Pastorino, racconta un aspetto poco conosciuto della storia del Nazismo.

Ingoiare tre volte al giorno cibo che potrebbe essere mortale. Sapere che ogni boccone potrebbe essere l’ultimo. Una sfida terribile quella a cui erano sottoposte le donne reclutate dalle squadre di protezione (SCHUTZ STAFFELN – SS) per assaggiare i pasti di Hitler e verificare in questo modo che non fossero avvelenati. A loro è dedicato ‘Le assaggiatrici’, il nuovo romanzo della Pastorino, pubblicato da Feltrinelli, che ha riscosso un grande successo internazionale prima ancora della Fiera di Francoforte è stato venduto negli Stati Uniti, in Francia, Olanda e Spagna.

L’esistenza di un gruppo di giovani donne tedesche arruolate per assaggiare i piatti del Führer è stata per anni semi sconosciuta, almeno in Italia, una piccola parte della storia del Nazismo si sapeva poco o nulla. Finché un giorno, la scrittrice Rosella Postorino, 39 anni, non si è imbattuta nella storia, raccontata in un trafiletto di giornale, di Margot Wölk. Da questo indizio, e dopo approfondite ricerche, è nato Le assaggiatrici (Feltrinelli, pagg. 240, € 16). La protagonista è Rosa Sauer che nel 1943, assieme ad altre nove «ancelle» che all’inizio si guardano tra di loro in cagnesco, viene condotta ogni giorno nella «tana del Lupo» per assaggiare i piatti preparati dal cuoco Briciola e scongiurare, così, ogni possibile tentativo di avvelenamento.

Un romanzo avvincente come un bel film che ci mette di fronte a un aspetto poco conosciuto e approfondito del nazismo, ma soprattutto ci fa riflettere su fino a che punto sia lecito spingersi per sopravvivere e sull’ambiguità delle pulsioni umane

“Da anni avevamo fame e paura” dice Rosa Sauer, la prima volta che entra nella stanza dei pasti potenzialmente mortali. E’ finita in quel posto, la Tana del Lupo, dopo aver lasciato la sua casa bombardata a Berlino ed essersi rifugiata dai genitori di suo marito, che combatte sul fronte russo. Rosa non sa che il villaggio della Prussia Orientale in cui vivono i suoi suoceri è vicino alla Wolfsschanze, il quartier generale del Fuhrer, nascosto nella foresta, e che su indicazione del sindaco nazista verrà reclutata dalle SS come assaggiatrice. Ma tutto questo si capirà un po’ alla volta.

“Al centro, un lungo tavolo di legno su cui avevano apparecchiato per noi” racconta nella prima pagina del libro. Ed è intorno a questa tavola che si gioca il destino di dieci donne fra le quali ci sono quelle che vengono chiamate le “esaltate”, felici di mettere a rischio la loro vita per Hitler, e quelle, come Rosa, che non vorrebbero più tornare davanti a quella tavola. Nella mensa forzata, nascono amicizie e rivalità sotterranee fra queste donne che considerano Rosa la straniera e arrivano anche regali dal cuoco Briciola. Quando le SS ordinano di mangiare è la fame ad avere la meglio, ma poi sale l’angoscia e la paura di morire. Le assaggiatrici devono restare un’ora sotto osservazione per garantire che il cibo del Fuhrer non sia avvelenato. Rosa è una donna in trappola, nei suoi viaggi con il pulmino per raggiungere la Tana del Lupo è tormentata dal suo abitare questa zona di confine tra la vita e la morte, è angosciata dall’oppressione che subisce e dalla voglia di ribellarsi. Vittima e carnefice sono continuamente a confronto e nel libro si viene investiti dall’impatto che i regimi totalitari hanno sulla vita delle persone, anche di quelle come Rosa, che è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, fino a diventare amante del tenente Ziegler, che semina terrore.

 

 

 

Una delle cose più sorprendenti è rendersi conto che «non era disgustoso, era umano. Adolf Hitler era un essere umano che digeriva». Rosa è sposata con Gregor, un grande amore anche se breve: poco dopo il loro matrimonio, lui si era arruola nell’esercito tedesco, mentre lei raggiunge i suoceri in campagna, a pochi chilometri dal covo segreto del Führer. A un certo punto, di lui non si hanno più notizie. È questo il momento in cui nella vita di Rosa entra il magnetico ed engmatico tenente Ziegler delle SS. La loro sarà una relazione folle, alla quale si intrecciano le storie delle altre «detenute» di lusso, donne chiamate, in tempo di guerra (ma quando non è tempo di guerra?), a sbrigare da sole tutte le incombenze della vita (bambini nella pancia, cibo, lavoro). Le assaggiatrici è un romanzo che resta, fino all’ultima pagina, sul confine fragilissimo che, soprattutto in certe situazioni estreme, separa chi è colpevole da chi è, suo malgrado, complice.

E la domanda che solleva è quella che insegue l’uomo dall’inizio dei tempi: Che cosa sei disposto a fare, pur di sopravvivere? Davanti al terribile bivio, restare vive anzi di più, vitali, anche in un mondo di morte e, invece, lasciarsi andare, Rosa compirà l’unica scelta che le permetterà, anni dopo (che è il punto del tempo dal quale lei stessa racconta l’intera vicenda) di considerarsi una reduce: «La guerra mi aveva consegnato il corpo di un reduce», dice.

In questo romanzo, finalmente, reduce diventa un sostantivo femminile.