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Libri: Cattiva, la mamma che non ti aspetti

Diventare mamma non è solo un momento di grande gioia. Pochi ne parlano e ne scrivono, ma la maternità ti pone anche di fronte a situazioni difficili e complicate. Si passa per la sofferenza di comprendere il cambiamento e trovare una nuova dimensione.

Nel romanzo di Rossella Milone, “Cattiva”, Einaudi Editore, si rintraccia quel momento in cui ogni madre si è sentita smarrita, sola ed in colpa.

Questa fase naturale non viene spiegata ai corsi preparto o dalle nonne, viene semplicemente vissuta. Quante emozioni contrastanti ed estreme, amore e rabbia, poi gioia e frustrazione.

Adesso che c’è un figlio nella mia vita quante rinunce dovrò fare? Al mio lavoro non voglio rinunciare ma come faccio a conciliare? Sono sola con te che piangi incessantemente e ancora non parli, ho dormito solo 3 ore anche stanotte e sto per crollare…

Sono solo alcune delle domande e dei pensieri che le neo mamme si fanno in preda alla gestione del cambiamento di vita.

È un libro  di forti  emozioni e di sensazioni quello di Rossella Milone, già esperta nel racconto di ciò che attraversa il campo dei sentimenti con la raccolta, ”Il silenzio del lottatore”, Minimum Fax, che rivela la metamorfosi necessaria per riadattarsi a una vita in cui la priorità non sei più tu, in cui prima viene qualcun altro, senza eccezioni.

Un libro profondamente reale che finalmente rende visibile qualcosa che fino ad ora non era emerso tangibilmente, con le parole giuste, senza drammatizzare, senza enfatizzare. Solo vita vera.

“Una voce corvo dentro di me […] mi sta dicendo che le madri e i padri posseggono millenni di esperienza alle spalle, ma nessuno in tutta l’evoluzione umana è mai diventato un genitore perfetto. L’esperienza al genitore deve insegnare solo una cosa: non sapere, perché è lì che risiede la salvezza del figlio”.

Così Rossella Milone dà voce a tutto ciò che una neo mamma, una donna, non riesce a spiegare quando nasce suo figlio. “Cattiva”, ha come protagonista Emilia alle prese con il momento duro e sfibrante del parto e dei primi mesi di vita di un essere che si rivela tanto una parte di lei quanto qualcosa di totalmente inesplorato, alieno, sua figlia.

Che la maternità che vediamo sulle riviste patinate sia una fandonia, oramai lo sappiamo: essere mamma è meraviglioso ma è anche riscoprire se stessi, trasformarsi in qualcosa che si deve adattare perfettamente all’essere hai creato, trascurando o addirittura annullando una parte di ciò che eri prima.

Emilia culla la sua bambina, si sveglia di notte per allattarla, nutrirla, conoscerla. Nel frattempo scopre che cos’è la solitudine: suo marito Vincenzo è a lavorare, i suoi genitori non sono di aiuto per i pensieri, a volte foschi che ha. E sono proprio questi scenari immaginari, questa voglia che ogni tanto le prende, che la fa sentire cattiva. Le sembra di non essere in grado di dare a sua figlia quello che lei vuole, si sente inadeguata, inesperta e la frustrazione la spinge a scappare sulla spiaggia della sua città, Napoli, tra il profumo delle pizzelle e del pesce appena pescato.

“Basta. […] lo urlo contro queste pareti sottili, contro questa casa vuota, contro di te in braccio che mi senti, che senti il mio Basta crudele e assassino, tu che manco sai chi sono, riconosci la mia rabbia e la sai spiegare meglio di come me la so spiegare io. Tu urli, io urlo Basta, basta, basta. E poi accovaccio con te in braccio, l’unica cosa che so fare è sbagliata”.