Prima dicono di amarti poi ti violentano o ti uccidono. Non è amore, non può chiamarsi così un sentimento malato che vive e gode della sopraffazione dell’altra, di lei, la donna, l’oggetto del possesso.
Le donne vittime di carnefici subiscono in silenzio e non denunciano per lungo tempo: hanno paura e si sentono sole. Sono davvero troppe le storie di donne che hanno vissuto e vivono il dolore fisico e il dolore dell’abbandono.
Oggi a confermare tutta questa mostruosa realtà c’è per la prima volta un’indagine “empirica sulla giurisprudenza in tema di violenza domestica” dalla quale si evince che in oltre il 70% dei procedimenti le vittime convivevano o avevano una relazione con i loro carnefici, ma anche che quasi il 40% dei dibattimenti, poi, si è concluso con assoluzioni. E per la prima volta è possibile tracciare l’identikit del responsabile delle ‘violenze di genere’ nei confronti delle donne: italiano, 40 enne, operaio o disoccupato e spesso affetto da dipendenze come l’alcolismo.
Emerge da una ricerca su 120 recenti processi che si sono tenuti nei tribunali di Milano, Pavia e Como. La ricerca, realizzata nell’ambito di un progetto che ha visto in campo Regione Lombardia, l’Ordine degli avvocati milanesi e il Tribunale di Milano, questi ultimi rappresentati dall’avvocato Silvia Belloni e dal magistrato Fabio Roia, ha passato in rassegna oltre cento sentenze, emesse tra gennaio e luglio scorso nei tre tribunali per i reati di maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale.
I dati rilevati, mai stati raccolti finora con simili modalità, saranno utili a magistrati e operatori del settore. Quasi una donna su tre, poi, rimane vittima per più di cinque anni prima di denunciare e nel 78% dei casi gli abusi sono sia fisici che psicologici. Soltanto in un procedimento su quattro, inoltre, la vittima ha chiesto aiuto ad un centro anti violenza e in più della metà dei casi le donne non si sono costituite parti civili contro gli imputati.
Le indagini in questi casi durano troppo a lungo, quasi due anni, mentre i tempi dei dibattimenti sono celeri (in media durano 10 mesi). Per le violenze sessuali si infliggono pene in media di quasi 7 anni, per i maltrattamenti di 2 anni e 6 mesi e per lo stalking di 1 anno e 3 mesi (nel 41% dei casi con sospensione condizionale). Nelle assoluzioni nei processi per maltrattamenti prevalgono la “mancanza di abitualità” o l’assenza del dolo, mentre nei proscioglimenti dallo stalking conta spesso la “remissione della querela” da parte della persona offesa e nelle violenze sessuali la “assenza di credibilità” della presunta vittima o la sua “ritrattazione”.
Sui 120 procedimenti penali analizzati, anche con la collaborazione di tre università milanesi (Statale, Cattolica e Bicocca), più della metà (63) vedevano al centro il reato di maltrattamenti con imputati uomini di età media di 42 anni. Imputati che nel 59% dei casi sono italiani, mentre il 10% proviene dal nord africa e il 12% dall’Europa orientale.
Il 31% degli stalker o violentatori, poi, sono disoccupati, il 25% operai e solo il 3% dirigenti o professionisti.
Quasi il 70% di coloro che soffrono di dipendenze sono alcolisti e nel 14% dei processi l’imputato ha precedenti penali sulla stessa vittima. Nel 73% dei dibattimenti, inoltre, imputato e persona offesa erano conviventi o partner e se nel 29% dei casi i bambini hanno assistito e allo stesso tempo subito le violenze, più del 70% dei bimbi hanno visto i maltrattamenti e le persecuzioni coi loro occhi.