Mentre l’Islanda è diventato il primo paese al mondo a rendere obbligatoria per legge la parità di stipendio tra uomo e donna, in Italia c’è chi ritiene che il divario tra gli stipendi maschili e femminili sia un fatto giusto e che si spiega con la quota minore di lavoro da parte delle donne. “La natura non è democratica”, scrive Vittorio Feltri su Libero, ”Le donne che pretendono di avere lo stesso stipendio degli uomini hanno una sola via di uscita: evitino di sposarsi e di diventare madri ad ogni costo, rifiutando i suggerimenti del cosiddetto orologio biologico che le convince a riprodursi”.

Ecco spiegato il gap tra la diversità di stipendi tra uomini e donne. Mentre l’Onu afferma che le donne in genere guadagnano il 20 per cento in meno degli uomini a conferma che le pari opportunità sono ancora lontane, c’è chi prova a dare una spiegazione a questo gap.

Se una donna vuole guadagnare di più lavori anche di più”, sostiene Feltri.

Insomma mamme, sentiamoci in colpa. E’ solo responsabilità nostra!

Se abbiamo scelto di mettere al mondo bambini, che non significa lavorare per il Paese, di conseguenza abbiamo diritto, secondo Feltri, a meno soldi.

Da donna e madre la trovo una riflessione davvero superficiale oltre che banale.

Una riflessione che non tiene conto di tanti aspetti. Intanto per ogni madre c’è un padre e non si capisce perché solo ella debba “scontare” la remunerazione.

In questa frase non si riconosce alcun valore alle nascite, alla crescita dei figli, al futuro.

Come se fosse una questione solo familiare e personale, distaccata dal Paese nel quale viviamo.

Che Paese diventerebbe un Paese che invita le donne a non avere figli per non subire discriminazioni?

E’ già morto.

Feltri ammette che su scala mondiale, le differenze retributive tra generi sono notevoli. Poi prende ad esempio un redattore e una redattrice di un giornale che ricevono lo stesso compenso mensile. Ne deduce che è falso sostenere che gli uomini siano privilegiati.

“Purtroppo – continua Feltri- però succede che le ragazze, a un certo punto della vita, si sposino e mettano al mondo dei figli, pertanto rimangano a casa in maternità. D’altronde le mamme sono loro e non possono delegare i mariti o i compagni a partorire. Cosicché per un anno o due esse si assentano dall’azienda e automaticamente la loro retribuzione scende ai livelli più bassi: non percepiscono più straordinari festivi e notturni. Lo stipendio complessivo cala appunto del 20-25 per cento. Alla fine del percorso professionale, fatalmente, risulterà che i quattrini percepiti dal marito sono stati superiori a quelli della moglie. Che si può fare onde rimediare a questo gap? Nulla. Bisognerebbe dotare gli uomini di utero e le donne di pene, cosa assai difficoltosa per non dire impossibile. Per ciò è assurdo asserire che le signore guadagnano meno, semmai lavorano meno ed è normale che abbiano una busta paga più magra…”

Sul quotidiano La Repubblica invece Barbara Ardù commenta il gender pay gap o differenziale salariale di genere sottolineando come, per la prima volta, venga usato il nome giusto per definire il fatto: furto. Anuradha Seth, consigliera delle Nazioni Unite, infatti ieri, ha chiamato così la differenza fra gli stipendi maschili e femminili: “Un furto. Il più grande della storia”.

Mentre in Italia siamo lontani dall’affermare una cultura del rispetto delle donne, mi beo pensando che nel mondo c’è un luogo dove esiste la civiltà ed il rispetto. Penso che in Islanda, grazie alle nuove misure adottate dal Governo, le aziende e gli uffici pubblici con più di 25 impiegati dovranno dimostrare con una serie di documenti che le dipendenti sono pagate quanto i loro colleghi, altrimenti saranno puniti con un’ammenda.

L’Islanda non è nuova a misure che promuovano l’uguaglianza tra uomo e donna tanto che negli ultimi nove anni è stata al primo posto della lista dei paesi più avanti nella parità di genere stilata dal World Economic Forum.