Quando Elizabeth Blackburn era ancora al liceo, un professore le chiese: “Perché una ragazza carina come te studia materie scientifiche?”. Blackburn rispose con un mezzo sorriso. “Come tante avevo poca fiducia in me stessa e non sono riuscita a rispondere con una battuta“. La sua rivincita sui pregiudizi è stata conquistare nel 2009 il premio Nobel della Medicina grazie alla scoperta del meccanismo di protezione molecolare dei cromosomi. “Eppure è passato mezzo secolo da quando il professore mi fece quella battuta sessista e i pregiudizi sono ancora molti“, ha detto la scienziata australiana, 66 anni, durante la presentazione dell’ ultimo rapporto su Donne e Scienze realizzato da OpinionWay per la fondazione L’Oréal.
Blackburn sa di appartenere a una piccolissima nicchia: il 97% dei premi Nobel scientifici sono stati finora assegnati solo a uomini. E in Occidente, tra il 2000 e il 2010 la proporzione di donne con incarichi di ricerca scientifica è rimasta bassa, meno di un terzo dei posti, aumentando di soli tre punti: dal 26 al 29%. Il caso di Blackburn che ha diretto per anni il dipartimento di microbiologia e immunologia dell’Università della California non è così diffuso. Solo l’11% degli alti incarichi accademici in Occidente è occupato da scienziate.
Gli stereotipi sono ancora straordinariamente forti.
L’indagine condotta in cinque paesi europei, tra cui l’Italia, infatti, ha dimostrato che solo il 10% degli intervistati pensa che le donne abbiano particolari attitudini per la scienza e ben il 67% è convinto che non abbiano le capacità necessarie per una carriera scientifica di alto livello. Nel nostro paese il pregiudizio è superiore alla media europea e arriva al 70% del campione. Per la stragrande maggioranza degli intervistati le donne sono più portate per le scienze sociali (38%), la comunicazione (20%), le lingue (13%), l’arte (8%). Le scienze vengono alla fine (10%) seguite da management e politica (5%
In generale, quando si domanda a qualcuno di ricordare un grande scienziato il 71% delle persone dice un nome maschile, con Albert Einstein che batte tutti.
Il soffitto di vetro alla carriera scientifica femminile è creato soprattutto da resistenze culturali: la metà del campione (49%) non vede ostacoli innati nella natura delle donne. Almeno questo pregiudizio non c’è più. Ma è nella scuola che si formano le prime discriminazioni. Il “gender gap” inizia proprio durante l’adolescenza. Solo il 35% delle donne si è sentita incoraggiata a fare studi scientifici, il 9% ha avuto invece segnali negativi al riguardo. Nelle facoltà scientifiche gli iscritti sono il 68% contro il 32% di iscritte, una distanza che sale fino al 75% contro il 25% al livello di dottorato.
Poche ragazze studiano le Stem (Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica): in Italia, solo il 12,6% delle studentesse sceglie materie scientifiche o tecnologiche all’università.
Come colmiamo il divario di genere?
Le iniziative in tutto il mondo non mancano: università, big companies e aziende produttrici di giocattoli si danno da fare.
Colossi come Microsoft e Intel e università prestigiose come la Columbia hanno proposto corsi, libri e persino tour. Per colmare il divario, la Columbia University ha organizzato un tour che, nello scorso anno ha toccato le principali città americane, coinvolgendo centinaia di ragazzine in corsi intensivi di Stem. L’iniziativa è sponsorizzata da National Geographic, Goldman Sachs e Microsoft. Intel invece ha organizzato campus per sole ragazze ed ha finanziato corsi di Stem per studentesse delle medie, spendendo, solo in Arizona, 1 milione di dollari. In Irlanda e Regno Unito impazzano le Stemettes, “mentori” che, da Leeds a Belfast, organizzano eventi per bambine dai 5 anni in su. E in Italia, il programma Nuvola Rosa di Microsoft ha coinvolto più di 1500 ragazze in corsi gratuiti di formazione digitale.
Ma c’è di più: la nuova bambola lanciata sul mercato da una nota azienda americana con la collaborazione scientifica della Nasa. Chissà se una delle bambine che la comprerà sarà la futura astronauta che per prima metterà piede su Marte.
E’ comunque l’obiettivo di Luciana Vega, questo il nome della bambola, è proprio quello di ispirare bambine e ragazze a studiare le materie scientifiche e diventare le ricercatrici e le astronaute del futuro.
Non staremo passando da un eccesso all’altro costringendo a volte le ragazze a fare scelte che non sono loro affini?
Dobbiamo dare ai nostri figli la libertà di potersi esprimere. Il pericolo, reale, è quello dell’eccesso, in un senso o nell’altro.
Non siamo tutti obbligati a dover diventare ingegneri o medici. Ci sono predisposizioni da rispettare. Bisogna capire quali sono le capacità individuali dei propri figli. Avere per i figli aspettative narcisistiche inconsce, dettate ovviamente dall’amore, può strutturare insicurezze nel bambino, che non riesce a volte a trovare una propria dimensione.
I bambini esprimono desideri che bisogna saper ascoltare, cogliere, supportare, seguire…
Stimolare le diverse materie, far conoscere varie possibilità è fondamentale per lo sviluppo di un’intelligenza sana, forte e sicura. Lo sostengono anche gli psicologi che sottolineano spesso anche la dimensione relazionale del gioco : inutile comprare giochi scientifici se poi la bambina li usa da sola. Se il gioco non è relazionale, cioè fatto insieme, non consente al bambino di trovare un valore nella realtà.