La violenza sulle donne è come un cancro. Non si vede se non ti fa un livido. Eppure esiste anche quando appari con un aspetto normale. Quante donne sono quotidianamente violentate e abusate da comportamenti di minaccia, aggressivi e volgari? Tantissime.
E non occorre andare nelle povere periferie o negli ambienti più difficili per trovarne la triste testimonianza. No. Il cancro è tra noi.
È tra quegli uomini ai quali stringiamo le mani e sorridiamo ignare del fatto che hanno lasciato a casa la moglie in lacrime o l’ex compagna sotto l’urlo dell’ennesima minaccia di ucciderla. A poco serve denunciarli. L’allontanamento la legge lo prevede solo in casi di violenza fisica. E devi dunque sperare che quando ti darà il primo pugno o il primo calcio poi si fermi lì. Devi sperare che la sua furia possa trovare un controllo prima che sia troppo tardi.
Quanta strada dobbiamo ancora fare per difendere le donne ed assicurare loro pari dignità.
Come lo curiamo questo cancro? Intanto se il Governo desse un segnale mettendo a disposizione i fondi per i centri anti violenza sarebbe un’azione utile. Una tra le tante da attuare. Nel Governo abbiamo un uomo che ha la delega alle Pari Opportunità e questa potrebbe essere anche una buona notizia. Potremmo dire che anche gli uomini sono scesi in campo a difendere le donne e combattono affianco a loro. Si, potremmo dirlo. Aspettiamo dunque con ansia di conoscere il piano governativo sul tema. Ma tutti noi siamo chiamati a dare un personale contributo al cambiamento culturale. Tutti.
Donne, mamme, nonne, uomini, papà, nonni. Le mamme e i papà poi hanno la responsabilità di educare i figli. E con i loro comportamenti più che con le loro parole, socializzano azioni, modalità di relazione, linguaggi che faranno la differenza. L’insieme di questi comportamenti costruiscono il rispetto. Il rispetto per la donna si impara. Educhiamo al rispetto.