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Eva, uno strumento concreto per tutelare le donne vittima di violenza

I segni di quanto successo oltre 10 anni fa, Filomena De Gennaro li porta addosso, costretta su una sedia a rotelle da un proiettile sparato dall’ex fidanzato che non si rassegnava alla fine della loro storia, ma li sfoggia con un sorriso pieno di coraggio. Porta la sua testimonianza sperando che qualche donna decida di farsi aiutare, è convinta che “denunciare è fondamentale”.

E’ una delle tante donne vittima di violenza che con il loro coraggio danno un forte contributo al cambiamento perché per arginare la violenza sulle donne, serve una profonda trasformazione culturale. E strumenti adeguati, come il protocollo Eva, nato da un’idea del dirigente dell’ufficio prevenzione della questura di Milano Maria José Falcicchia, per dare una risposta ai numeri da guerra, che sono quelli delle guerre domestiche, e poi adottato a livello nazionale. Fino ad oggi, grazie a Eva, sono state raccolte oltre 5488 segnalazioni.

Oggi viviamo un paradosso perché l’etica delle regole sopravanza quella dei valori. Si tratta di un problema culturale, serve un salto di qualità verso una parità di genere sostanziale.

Il “Protocollo Eva” (Esame delle violenze agite) è una procedura operativa per contrastare le violenze domestiche e lo stalking e prevenire fenomeni come il femminicidio. Esiste un gap tra le “norme avanzate” di cui l’Italia si è dotata in questi anni e una cultura diffusa ancora arretrata nei confronti delle donne, lo testimoniano i terribili numeri sui femminicidi.

“Eva”, evoluzione della “processing card”, è un protocollo di primo intervento concepito per i poliziotti delle Volanti, che è stato ideato e sperimentato nell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico (Upgsp) della Questura di Milano e che ora è diventato nazionale, diventato operativo in tutte le Questure d’Italia. “Eva” fa leva su due strumenti forniti dal legislatore per tutelare le vittime, “l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare” e l’arresto obbligatorio in caso di maltrattamento o atti persecutori. In questo ultimo caso, oltre alla flagranza, gli agenti che intervengono devono constatare una reiterazione delle condotte violente. Per questo d’ora in poi saranno chiamati a compilare un apposito modulo in cui riporteranno scrupolosamente la presenza di ingiurie, minacce, molestie e percosse ma anche la presenza di eventuali suppellettili danneggiate o di lividi e ferite frutto della “lite in famiglia” che ha fatto scattare l’intervento dell’equipaggio della Volante. Nel caso purtroppo diffuso che per paura la vittima nasconda o minimizzi l’accaduto, gli agenti raccoglieranno anche le dichiarazioni di eventuali testimoni che possano fare luce sulla situazione familiare. Questo tipo di “annotazioni” di ogni singolo intervento non solo alimenteranno un database a disposizione degli agenti ma saranno utilissimi per impostare l’azione dell’autorità giudiziaria come ha evidenziato il pm Cristiana Roveda. “L’obbiettivo è quello di introdurre un cambio culturale – ha spiegato la dirigente dell’Upg di Milano, Maria Josè Falcicchia– passando dall’approccio pacificatore a quello di reale protezione della vittima”.