Divorzi, attesa per sentenza storica

All’inizio c’era l’amore. Poi l’amore è finito, la coppia scoppia, e i coniugi decidono di separarsi. Si dividono il patrimonio familiare, ma lei(o lui) chiede anche un assegno dopo il divorzio. Il Tribunale concede l’assegno ma la Corte di Appello glielo toglie. L’Italia in questo momento è “sospesa” tra molte storie di questo tipo nelle quali uno dei due coniugi si appella al concetto del mantenimento del tenore di vita. C’è grande attesa per la storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione in una giungla di sentenze di orientamento contrapposto e sotto la spinta dei cambiamenti del nostro costume sociale.

Una sentenza che influenzerà migliaia di contenziosi che riguardano relazioni interpersonali e l’amore, o ciò che resta dopo l’amore. Se ci sono i figli ci si augura che resti una buona relazione genitoriale, fatta di rispetto e vissuta quantomeno con cordialità. Questo nella teoria delle cose che vanno bene perché il più delle volte, lo vediamo quotidianamente attraverso le storie di amici e conoscenti, ogni relazione finita diventa un costante litigio, un luogo di accuse reciproche e di rabbia che esplode, dove i figli vengono tristemente strumentalizzati.

La legge che fa da guida fissa il criterio del «tenore di vita» che il coniuge più debole deve mantenere dopo il divorzio. Un tenore che gli deve assicurare, con l’assegno mensile, il coniuge che guadagna di più. Nell’articolo 10 della legge si legge che l’assegno va assicurato al coniuge che «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Cosa ne penso io? Questa storia del mantenimento del tenore di vita non si può sentire! Sicuramente non può esistere un criterio unico ma servirebbero equità e buon senso.

Quando ci si sposa non si va a nozze con i soldi. Il matrimonio non è un investimento finanziario.

Per tanti anni si è ritenuto che andasse tutelata la donna relegata ai lavori domestici (non retribuiti) e alla crescita dei figli. Si diceva: tutto quel che lei ha fatto le va riconosciuto economicamente. Comprensibile. Ma non si può abusare di questa tendenza giurisprudenziale.

La giurisprudenza che è materia viva è andata modificando l’approccio mano a mano che le donne hanno conquistato sempre più il loro posto nel mondo del lavoro e che gli uomini sono andati impegnandosi di più nella vita casalinga.

Se una donna non lavora e cresce i figli, capisco che vada in qualche modo tutelata quando il matrimonio finisce, ma cosa c’entra il tenore di vita da garantire?

Se si tratta di una famiglia media o medio-bassa è abbastanza ovvio che lo stesso tenore di vita lo perdono tutti con un divorzio: non solo la moglie, ma anche il marito e perfino i figli. Oltre alle donne, ci sono uomini che hanno serie difficoltà dopo il divorzio, tra assegni per l’ex moglie, per i figli, case cedute all’ex coniuge.

Sui figli il maggior rigore lo capisco: li si è messi al mondo, ci si è assunti una grande responsabilità nei loro confronti, la più grande responsabilità nella vita di un individuo, mi pare sacrosanto garantirli al meglio.

Ma la donna soltanto perché donna, anche la donna autonoma e lavoratrice, anche la donna indipendente senza figli deve pretendere lo stesso tenore di vita? Ha sposato un uomo o il suo tenore di vita?

Sono molti i casi di donneche conducevano una vita di lusso e che pretendono di continuare a condurre la stessa vita. Non una vita dignitosa, la stessa bella vita!

Dai giudici mi aspetto che valutino caso per caso evitando gli eccessi nei confronti dell’una o dell’altra parte. E’ un assurdo pretendere che la donna abbia più diritti dell’uomo in quanto donna.